Storia di una leonessa, 50 anni dopo. Intervista con Tania Esteban

Il film Nata libera nel 1966 fece conoscere in tutto il mondo la storia di protezione, amore e determinazione che unì l’attrice e ambientalista Virginia McKenna alla leonessa Elsa. Cinquant'anni dopo, la giovane documentarista Tania Esteban ha deciso di tornare nei luoghi di quella vicenda, nel parco nazionale di Meru, in Kenya, per raccontare come prosegue la missione di Virginia per proteggere i leoni e gli sviluppi della lotta contro il bracconaggio che minaccia la fauna selvatica del Paese africano. Storia di una leonessa, 50 anni dopo, di scena venerdì 17 novembre per Sondrio Festival 2017, è una storia di difficoltà e speranza, «un'emozione in cui tutti gli esseri umani possono immedesimarsi», dice Tania.

Storia di una leonessa è stato il tuo primo documentario da regista e produttrice: cosa lo ha ispirato?
Sì, è stato uno dei primi e più ampi progetti in cui sono stata coinvolta completamente. All'università ho studiato zoologia e mi sono divertita a filmare in varie associazioni studentesche, ma niente di paragonabile. Ho sempre vissuto nel sud della Spagna, poi a 18 anni mi sono trasferita in Gran Bretagna per studiare e dopo la laurea sono arrivata a Bristol per un master in produzione cinematografica di documentari naturalistici, alla University of West England. Da quando avevo dodici anni ho capito di voler entrare in questo mondo, crescere guardando David Attenborough e vivendo in campagna mi hanno ispirato moltissimo. Però in Spagna non c'era un percorso accademico che mi consentisse di progredire in questo campo, e sognavo di fare riprese e ricerche alla Natural History Unit della Bbc a Bristol, dove viene realizzato il 40% dei documentari naturalistici del mondo, roba da capogiro. Per raggiungere il diploma del master abbiamo dovuto realizzare un documentario, attingendo a tutte le capacità che avevamo imparato lungo il percorso. Così la storia del mio film è cominciata con la mia passione per i leoni e un incontro fortuito con Ian Redmond, uno dei massimi esperti nella tutela dei primati. Questo amore per l'Africa e per i felini è iniziato da bambina, quando ero assorbita dalla vera storia di George e Joy Adamson. Spero che questo possa essere interessante per chi vuole girare il primo cortometraggio e ha appena iniziato ad immergersi nel mondo creativo ed eccitante della narrazione con le immagini. E si può davvero fare anche con un piccolo budget, visitando luoghi splendidi! I documentari naturalistici sono diversi dai film perché non puoi prevedere cosa faranno i “personaggi”, né controllare tantissimi fattori ambientali esterni, ma programmando con cura e preparandosi bene nella fase di pre-produzione è possibile creare una storia di uomini e animali emotiva e personale, toccante.

Per il film hai incontrato persone del team di Born Free, del Kenya Wildlife Service e della tribù Borana. Quali sono stati gli aspetti più interessanti di questa esperienza?
Domanda difficilissima! Davvero non riuscirei a scegliere – incontrare il team di Born Free e il Kws è stata un'esperienza meravigliosa, la loro incredibile dedizione alla tutela della natura è un'ispirazione straordinaria: rischiano le loro vite per salvare gli animali selvatici e assicurare un futuro per i propri figli. I bambini delle scuole che ho visitato – la speranza che condividono, i loro desideri e i loro sogni, le persone gentili che ho incontrato in tutti i luoghi in cui ci siamo fermati, tutto è stato commovente e ha alimentato in me la passione di realizzare questo documentario. E ovviamente incontrare tre dei miei eroi, Virginia McKenna, Will Travers and Ian Redmond, alcuni dei più grandi esperti e ambientalisti del mondo, ha realizzato un mio sogno d'infanzia.

Qual è stato il momento più complicato durante le riprese? C'è un evento, una giornata che resterà nei ricordi?
In effetti catturare tutti gli elementi per raccontare la storia è stato impegnativo, all'inizio, nella fase di pre-produzione. Comunque quando sei sul posto capisci in fretta che sono il clima e gli elementi con cui devi combattere, e questa è una delle sfide più grandi quando hai un tempo limitato. Nel giorno del più grande rogo di avorio sequestrato ai bracconieri ho dovuto adattarmi alla situazione, rivedendo la mia lista di riprese e aggirando i limiti di tempo e di programmi per ottenere le inquadrature che mi servivano. Ho piazzato dei treppiedi per riprendere il discorso del presidente e l'inizio del rogo, ma non è stato facile perché pioveva a dirotto e dovevo trasportare l'equipaggiamento in un pantano. Poi ho chiesto aiuto ad un operatore locale per stare all'asciutto a filmare i preparativi, e per le interviste con Ian Redmond e altri ospiti ho attaccato il ricevitore del microfono sulla telecamera con lo scotch. Sul posto non c'erano né cibo né acqua, ma ero decisa a catturare gli incredibili avvenimenti di quel giorno.

Quale messaggio possiamo ricavare da Storia di una leonessa, come persone interessate alla conservazione dell'ambiente?
Il mio obiettivo nel realizzare il documentario era di coinvolgere a livello emotivo e sensibilizzare, concentrandomi su uno dei problemi principali che riguarda non solo i leoni, ma tutta la fauna selvatica in Kenya. La storia originale di Nata libera catturò le emozioni di milioni di persone nel 1956, un'epoca in cui il nostro rapporto con il mondo naturale e gli animali “selvaggi” era visto in modo negativo. E così, anche se un grande movimento per la conservazione della natura apparentemente fu innescato dallo slancio di un solo film, è stata la spinta emotiva della storia reale degli Adamson, che liberarono in natura una leonessa rimasta orfana, che spinse Virginia McKenna a cambiare completamente vita e carriera – da attrice ad attivista. Mi sembrava anche tempestivo produrre il film in vista del rogo dell'avorio e degli incontri a Johannesburg sulla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione. Non volevo scrivere un copione prefissato, e spero che aver usato le voci delle persone nel film permetta al pubblico di entrare in sintonia e interessarsi alla causa – anziché sentirsi fare una predica. Il tema maggiore del documentario è la speranza – un'emozione in cui tutti gli esseri umani possono immedesimarsi, e un messaggio che tutti coloro che operano nel mondo della produzione cinematografica e della protezione dell'ambiente possono usare, io credo, come strumento per ispirare e stimolare il cambiamento.

Stai lavorando ad un nuovo documentario? Che progetti hai per il futuro?
Lavoro come ricercatrice alla Bbc, con una squadra fantastica stiamo preparando una emozionante nuova serie – sono uno dei gruppi più innovativi, creativi e pieni di energie che si incontrano alla Natural History Unit! Mi godo ogni attimo. È incredibilmente eccitante, puoi essere molto creativo, contattare gli scienziati, uscire sul campo per portare a termine una storia. Comunque ho sempre i miei progetti che ribollono sullo sfondo, quindi per il futuro ho un paio di idee personali in fase di realizzazione in luoghi abbastanza remoti, con animali molto grandi e tecnologie elettrizzanti. La Panasonic di recente mi ha scelto fra i suoi “ambasciatori” e presto partirò per il Laos per filmare un cortometraggio naturalistico. 

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