Sonno segreto di Emanuele Coppola

- Come mai ha scelto questo soggetto?
Io ho piuttosto la sensazione che questo soggetto abbia scelto me. Infatti sono più di trent’anni che seguo e inseguo le foche monache in ogni angolo del Mediterraneo. Gli incontri con questo animale sono stati tanti, come ho raccontato nel libro IL MISTERO DEL MEDITERRANEO che ha pubblicato da poco l’Editore Orme.
Sono un appassionato di natura fin da bambino e per me la foca monaca è sempre stato l’animale mitico e irraggiungibile, la chimera di ogni documentarista. Il primo contatto è avvenuto in condizioni fortuite, ma non casuali: è accaduto più di trent’anni fa quando facendo delle riprese in acqua ho ricevuto , diciamo così,  le amorevoli attenzioni  di un giovane maschio di foca monaca; erano dei goffi tentativi di accoppiamento con il sottoscritto in acqua. In quel caso ero stato  scambiato per una foca. Dopo numerose delicate “si fa per dire” morsicature ne uscii per fortuna con piccole lacerazioni alla muta da sub. Quella muta ancora oggi la conservo gelosamente come un feticcio.

- Il titolo, "SONNO SEGRETO", che significato ha?
Si riferisce ad una mia recente scoperta che sono perfino riuscito a documentare in video con immagini che rappresentano il clou del documentario. Poche sequenze che però hanno richiesto più di due anni di tentativi spesso infruttuosi. Il ‘sonno segreto’ è il modo con cui le foche monache riescono a dormire in apnea in  piccole e comode cavità subacquee, come solo le foche sanno fare. Credo si possa ben immaginare la difficoltà di filmare una foca che dorme in una cavità sommersa, di dimensioni talmente piccole da contenere a malapena il corpo dell’animale. Grazie a delle moderne micro telecamere attivate da remoto sono riuscito a riprendere questo comportamento fino ad oggi del tutto sconosciuto. Un sistema di ripresa un po’ complicato frutto delle mie diavolerie elettroniche: d’altra parte sono un Ingegnere e la mia preparazione tecnica è sempre stata un valido aiuto per la mia passione di documentarista.

- Girare un documentario non è sicuramente impresa facile, ha avuto particolari difficoltà in questa occasione? Quanto tempo ha impiegato? Quali i ricordi più belli?
Quello che ho fatto per questo documentario forse non può essere preso a modello di riferimento: seguo la vita delle foche monache praticamente a tempo pieno da moltissimi anni e non solo come documentarista. Circa 30 anni fa ho addirittura fondato un Gruppo che raccoglie appassionati e specialisti su questa specie.  L’unico limite alle mie trasferte è costituito dalla disponibilità di tempo e risorse, che negli anni non sono sempre stati sufficienti. Le immagini di questo  documentario le ho realizzate in gran parte nel corso degli ultimi sei anni. La vera difficoltà è stata quella di decidermi finalmente a chiudere la fase di riprese e completare il documentario, cosa che ho fatto all’inizio di quest’anno, dopo che una delle foche a cui mi ero più affezionato e che aveva più di tutte ricambiato le mie attenzioni, è morta di morte naturale. Questo mi ha dato la possibilità di dedicare alcuni mesi al montaggio e alla post-produzione. Sicuramente è proprio il rapporto stretto che si era creato tra me e questa foca monaca, che in un certo senso è anche la protagonista del documentario, ciò che mi ha più coinvolto emotivamente in questi anni e che mi sprona ad occuparmi ancora in futuro della sorte di questi splendidi animali.

- Lei è uno dei più famosi documentaristi italiani, quanti documentari ha girato nella sue vita? Cosa pensa del lavoro e del ruolo del documentarista in Italia?
Preferirei non contarli, ma credo siano almeno alcune decine. Ma poco importa la quantità, quello che più conta per me è il fatto che ogni mio documentario rappresenta una parte della mia stessa vita. Basti pensare che sulla foca monaca ne avevo già realizzati tre prima di quest’ultimo e ciascuno offre una visione differente dello stesso soggetto, una prospettiva che è andata modificandosi nel corso degli anni a mano a mano che la mia conoscenza della specie si arricchiva di nuove informazioni. Soprattutto nei primi anni, quando lavoravo con la pellicola 16 mm, i miei documentari puntavano a raccontare la vita più intima e nascosta degli animali, a partire dal Biancone nei monti della Tolfa, la grande aquila bianca e marrone che caccia solamente serpenti. Ho seguito diversi animali più o meno conosciuti e rari del nostro paese come le galline prataiole,  piccole otarde delle pianure interne della Sardegna, i camosci del Parco d’Abruzzo, l’orso marsicano, i falchi della regina che a settembre si radunano sulle nostre coste per intercettare in splendide acrobazie aeree i piccoli uccelli migratori, e tanti altri. Tutti lavori che forse oggi meriterebbero un restauro cinematografico per poter essere ancora resi presentabili e chissà, forse questo potrebbe essere un progetto da condividere in futuro con delle scuole di cinema.

- Un giudizio su Sondrio Festival: come lo valuta?
Io non sono un assiduo frequentatore di Festival e devo dire che quando ho iniziato la mia carriera di documentarista di festival dedicati al documentario naturalistico in Italia proprio non ce n’erano. All’epoca ebbi la nomination al prestigioso festival della BBC Wildscreen, era il lontano 1986 e ricevetti un primo premio al festival francese di Menigoute, credo fosse il 1992. Del Sondrio Festival posso solo dire che ho apprezzato moltissimo la professionalità dell’organizzazione e non vedo l’ora di vivere in prima persona l’atmosfera del Festival, che a giudicare da quanto ho potuto vedere nel sito Internet e dalle scorse edizioni, si prospetta frizzante ed estremamente stimolante.

 

- A proposito della Valtellina... Molti ammirano e invidiano la nostra natura e le nostre "alte vie", condivide questo pensiero?
Non solo lo condivido, ma ne conservo un ricordo personale molto intenso. Mi trovavo in realtà nella parte meridionale della Valtellina, in una valle delle Orobie valtellinesi. Con un mio amico del luogo, un bravissimo fotografo e oggi anche documentarista Baldovino Midali, mi cimentai nell’impresa di filmare con la mia inseparabile Arriflex 16mm, le evoluzioni di una magnifica aquila reale. Fu un’impresa portare tutte le attrezzature necessarie fino al terrazzino di roccia situato ai margini del bosco, affacciato sulla valle e con un’ottima vista dall’alto del posatoio preferito dalle aquile. Nonostante la fatica, la notte all’addiaccio sotto un diluvio torrenziale e una rovinosa caduta sulla via del ritorno, direi che è stata certamente un’esperienza indimenticabile. Un’occasione unica per trovarmi a pochi metri dalla più austera e regale delle creature di montagna.

- Quali sono i suoi progetti per il futuro? Qualche nuovo soggetto da scoprire e divulgare?
Attualmente sono impegnato a sperimentare dei nuovissimi sistemi di ripresa in 3D stereoscopico. Ancora non so se le nuove immagini che sto realizzando riusciranno a trovare un impiego nel difficile mercato televisivo, che per la verità non sembra molto interessato a questa nuova frontiera. Quello che è certo è che io mi diverto moltissimo a unire la passione per le innovazioni tecnologiche con la documentazione naturalistica. La mia speranza è riposta nelle fasce più giovani dei potenziali spettatori di domani. Ho sempre considerato questo mio lavoro un gioco e credo che solo gli spettatori più piccoli potranno capire e condividere questa mia passione.
 

Camilla Martina